venerdì 12 agosto 2011

Ottima cucina, prezzi stracciati!!!!!! ma solo per i parlamentari.

Il menu del ristorante del Senato


ROMAUN SUGGERIMENTO? La transumanza da Montecitorio a Palazzo Madama. Trasferimento massiccio di deputati al Senato dove mangiare costa meno. Un primo piatto, per esempio, come gli «gnocchi di patate alla sorrentina» vale 3,30 euro. Al Senato, invece, gli spaghetti con le alici sono molto più economici: 1,60 euro. E sempre a palazzo Madama una bistecca di manzo si porta via 2 euro e 68 mentre gli «straccetti di vitello con la rucola» alla Camera, prevedono un esborso di 5 euro e 30. «Signora mia, che prezzi!» si potrebbe lamentare la deputata in tiro e carriera che proprio ieri, nell’inusuale (e drammatica) apertura agostana si rigirava il menù del ristorante di Montecitorio tra le mani.
Conviene mangiare al Senato dove la «carta» ha fatto il giro della rete provocando ilarità ma non solo, nel giorno dei nuovi annunci su future manovre lacrime e sangue (per noi). È l’ultima imbarazzante pagina nel librone dei costi della politica. I prezzi stracciati che di più non si può praticati al ristorante del Senato e quelli sicuramente contenuti del locale della Camera. Il menù gira da giorni su Internet, passato da un parlamentare «spione» dell’Idv e rilanciato dal settimanale L’Espresso.
QUELLO della Camera, che pubblichiamo qui sotto, è di ieri. Più aggiornato non si può. E se il discorso vale per il ristorante la buvette non è da meno. A febbraio 2010 i senatori quasi si mobilitarono contro gli aumenti: il caffé passò da 50 a 70 centesimi e la spremuta d’arancia da un euro e cinque centesimi a un euro e cinquanta. I rincari dovevano servire a limare i costi di palazzo Madama di circa 400.000 euro. Perché va detto chiaramente: non è che nei Palazzi la roba la regalano, semplicemente sono le istituzioni a metterci la differenza. Quindi noi tutti. Alla fine del 2009 c’era stato chi aveva proposto la chiusura di buvette e ristoranti. Il ministro Rotondi diceva che «i parlamentari ingrassano e ci costano troppo. Si parla di cinque milioni di euro, no?». Seppure non esageratamente preoccupati dalla linea di deputati e senatori, possiamo dirci angosciati dal calcolo sui costi «aggiuntivi».
PERÒ qualcosa si muove. Scoppiato il bubbone in Internet, l’ufficio stampa del Senato si è affrettato a precisare che «in sede di approvazione del bilancio interno è stato approvato un ordine del giorno specifico che intende porre a carico degli utenti del ristorante del Senato il costo effettivo dei pasti consumati». Vale la pena ricordare che altri ordini del giorno, analoghi, erano stati approvati anche in passato nei due rami del Parlamento. Per esempio, a Montecitorio già dal progetto di bilancio della Camera per il 2007 si parlava di provvedimenti mirati. Era firmato da Buemi, Turci, Angelo, Piazza, Schietroma, Antinucci, Mancini, Di Gioia e impegnava a «mantenere adeguati i prezzi della barberia e della buvette al costo medio di mercato». L’odg firmato da Gianfranco Conte, invece, invitava a «eliminare il ristorante per i deputati sostituendolo con congrui buoni pasto». Non ci sembra, allo stato, che sia stato dato seguito né all’uno né all’altro. E cresce, su Facebook, la protesta. Insieme, aumentano gli aderenti al gruppo «Nun te regghe più»: punta a una legge di iniziativa popolare per ridurre lo stipendio ai politici.

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