giovedì 18 agosto 2011

Il Sole dorme: glaciazione in arrivo?




Gli astrofisici osservano il Sole perplessi: la nostra stella si sta avviando verso un periodo di bassissima attività, come segnalato dalla prolungata assenza di macchie solari. Questo fenomeno, osservato fin dal 1610 da Galileo Galilei grazie al cannocchiale, presenta un andamento ciclico di durata variabile tra 9 e 13 anni, durante il quale si passa da un minimo, in cui le macchie sono assenti o quasi, ad un massimo che può raggiungere 200 macchie/mese . Anche se la relazione tra attività solare e clima è ancora argomento controverso, l’evidenza storica indica che ai periodi di bassa attività solare è seguito un drastico raffreddamento della Terra, le cosiddette piccole glaciazioni. Stiamo quindi andando verso una nuova glaciazione? Alcuni studiosi non lo escludono, ma secondo la scienza ufficiale dell’IPCC l’effetto di una prolungata stasi del sole sarebbe minimo e non attenuerebbe il riscaldamento globale antropogenico.


Dal grafico si può vedere che una prolungata e quasi totale assenza di macchie si verificò dal 1650 al 1730 , evento denominato minimo di Maunder, ed in minor misura dal 1800 al 1830. In concomitanza si ebbero le cosiddette piccole glaciazioni, che portarono al congelamento del Tamigi e perfino dei canali di Venezia. D’altronde si riscontra che nella seconda metà del 1900, in concomitanza con il riscaldamento globale registrato, l’attività solare fu elevata.



Dal 1755 i cicli solari vennero numerati ed il numero di macchie registrato. In Dicembre 2008 è giunto a conclusione il 23° ciclo, con totale assenza di macchie, ed è iniziato il 24°. Sennonché ad oggi la ricomparsa delle macchie solari è estremamente lenta. Riportiamo il grafico della NASA, che rappresenta la proiezione nettamente più bassa su cui si muove il ciclo 24. E’ da notare che questo grafico è stato aggiornato più volte, ed il massimo previsto è andato via via diminuendo fino alla attuale previsione di 69 macchie al massimo. Saremmo al minimo degli ultimi 100 anni.




Se le previsioni fossero confermate, e fossero valide le concomitanze climatiche riscontrate nel passato, la Terra potrebbe avviarsi verso un periodo di freddo estremo. Secondo Dennis T. Avery, Direttore del, Center for Global Food Issuess, e senior fellow of the Hudson Institute (1), i dati storici indicano che c’è un intervallo di circa 10 anni tra i cambiamenti delle macchie solari e le temperature della Terra. L’attenuazione delle macchie a partire dal 2000 sarebbe collegabile al raffreddamento iniziato dal 2007. Il minimo appena riscontrato farebbe prevedere un serio raffreddamento fino al 2020. Questo sulla base delle le cronache che riguardano la piccola glaciazione del 1700. Infatti gli inverni fino al 1730 furono piuttosto miti. Ma dopo l’inverno del 1739 i ghiacciai avanzarono in tutta l’Europa, e non si ritirarono nei successivi 50 anni. L’inverno del 1739-40 fu terribile, con il Grande Gelo che colpì tutte le attività industriali ed agricole, con raccolti distrutti e morie di bestiame. Il prezzo del grano andò alle stelle. Si diffusero epidemie tra la popolazione le quali, assieme alla denutrizione , causarono 400.000 decessi. Particolarmente colpita fu l’Irlanda, e questo provocò un flusso migratorio verso l’America. Il disastro climatico finì nel 1741. Sarebbe interessante proiettare una simile situazione ai nostri giorni, per valutare eventuali provvedimenti e misure preventive. Un lungo periodo di raffreddamento ci farebbe capire che i miliardi spesi per finanziare le turbine a vento ed i pannelli solari sono uno spreco colossale, mentre le emissioni di CO2 continuano ad aumentare a causa della crescita dell’economia asiatica. Ma, commenta Avery, il presidente Obama si è impegnato pubblicamente a elevare il prezzo dell’energia per” salvare il pianeta”.

Ma quale sarebbe il meccanismo secondo il quale l’attività solare influirebbe sul clima? L’effetto non è collegato ad una maggior o minor quantità di calore irradiata dal sole, bensì all’influenza che l’attività solare avrebbe sulla formazione delle nuvole le quali riflettono nello spazio i raggi solari diminuendo il riscaldamento della Terra. A sua volta la formazione delle nuvole sarebbe attivata dai raggi cosmici galattici che investono il sistema solare. Orbene, secondo la teoria di Henrik Svensmark, uno scienziato del Danish National Space Center di Copenhagen, una maggiore attività magnetica solare, evidenziata da molte macchie, sarebbe di ostacolo ai raggi cosmici e porterebbe a minore nuvolosità. Al contrario una minore attività solare permetterebbe una maggiore penetrazione dei raggi cosmici, e questo procurerebbe l’aumento della copertura nuvolosa con il risultato di un raffreddamento del clima.

Un programma di studi intrapreso al CERN di Ginevra da Jasper Kirkby, professore inglese di fisica, specializzato nello studio delle particelle subatomiche, si propone di approfondire le conoscenze proprio su questo fenomeno, riproducendolo in un impianto di ricerca scientifica. Lo studio è denominato CLOUD (acronimo di Cosmic Leaving Outdoor Droplets). Il programma COLUD si avvale di una risorsa eccezionale disponibile a Ginevra: il Large Hadron Collider, un impianto gigantesco, composto da un tunnel sotterraneo di 27 km in cui particelle subatomiche vengono accelerate da un campo prodotto da 1600 magneti, alla temperatura incredibile di – 271°C. Il sistema viene usato per una quantità di esperimenti. In questo caso per accelerare un raggio di protoni riproducendo i raggi cosmici, e di proiettarlo attraverso una camera di tre metri in cui è riprodotta l’atmosfera terrestre.

Kirkby guida un gruppo interdisciplinare di 50 ricercatori entusiasti provenienti da 15 diversi istituti non solo europei, ma anche russi e americani. Gestisce un budget di 3 milioni di Euro. Nel delineare le basi dell’esperimento Kirkeby è molto attento a non entrare in collisione con le dottrine dell’IPCC. In una intervista pubblicata l’ 8 giugno da PS Public Service Europe (2) Kirkeby illustra il suo lavoro sperimentale.

“Se ignoriamo il ventesimo secolo, che fu complicato dalle questioni dei gas serra, in una scala temporale di centinaia di anni ci furono cambiamenti climatici certamente naturali, che spesso sembrano essere associati con il sole. L’ammontare di questi cambiamenti climatici è comparabile al riscaldamento odierno, ma non c’è un unico meccanismo conosciuto che possa spiegarlo. I raggi cosmici in connessione con le nuvole costituiscono uno dei meccanismi possibili. Le nuvole, dice Kirkeby, hanno un effetto di raffreddamento perché riflettono parte della radiazione solare, e quindi un cambiamento persistente nella copertura nuvolosa potrebbe avere un considerevole impatto sul clima. Secondo una controversa teoria nei decenni a passati una riduzione della nuvolosità ha portato ad un aumento delle temperature globali. I Raggi Cosmici creano una debole carica elettrica nell’atmosfera. La teoria stabilisce che molecole cariche elettricamente possano giocare un ruolo importante nella creazione degli aerosol, che sono il seme per la formazione delle nuvole. Al momento si sa poco sugli aerosol, ma senza di essi non ci sarebbero nubi nel cielo. Le misure satellitari mostrano una relazione tra l’intensità dei raggi cosmici, che varia con il ciclo delle macchie solari, e la copertura nuvolosa. E’ una scienza complessa, e lo scopo di CLOUD è quello di aumentare la comprensione di questa apparente correlazione. Per quanto mi riguarda, Kirkby conclude, fin tanto che questo contributo naturale ai cambiamenti climatici non sarà ben capito, ci sarà una grossa incertezza su quale possa essere il contributo umano. Il nostro lavoro ha portato a quattro o cinque importanti scoperte, che pubblicheremo nei prossimi mesi”.

Malgrado la prudenza usata da Kirkby, il suo lavoro preoccupa la direzione del CERN, che teme una contrapposizione con l’IPCC. Infatti il Director General Rolf-Dieter Heuer ha chiesto agli scienziati che lavorano al programma CLOUD di astenersi dal trarre qualsiasi conclusione dagli esperimenti compiuti, “in quanto questo entrerebbe immediatamente nell’arena fortemente politicizzata del dibattito sui cambiamenti climatici. Si deve chiarire che le radiazioni cosmiche sono solo uno dei diversi parametri in gioco” (3). La scienza umiliata dalla politica. Ma dietro lo strapotere dell’IPCC ci sono business e speculazioni miliardarie. L’obiettivo sembra chiaro: massimizzare gli introiti cercando di ostacolare al massimo la ricerca scientifica indipendente che ancora sopravvive. Quando l’imbroglio diventerà palese i soldi incassati non verranno certo restituiti.

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