lunedì 29 agosto 2011

Bolt, l'uomo più veloce di se stesso




Usain Bolt si spoglia del titolo di campione del mondo, leva la maglia e abbandona i 100 metri senza correrli: ci si aspettava tutto tranne la resa, invece falsa partenza. Gli altri ai blocchi e Usain schizza via, dritto in un vicolo cieco: «Volete le lacrime? Non succederà».

No, non ci sono proteste, né scene isteriche davanti alla vittoria del compagno di allenamenti Yohan Blake perché che Bolt abbia sbagliato è chiaro all'intero stadio pietrificato. Che l'uomo da cacciare, e non più da battere, sia lui è l'unica certezza della serata. Il resto è una serie di ipotesi senza prove: non si sa se davvero Bolt avrebbe vinto, se aveva già un'inedita pressione addosso e quindi è andato fuori giri, se l'errore sia stato condizionato da un leggero movimento che qualcuno ha notato alla sua destra, giusto nella corsia di Blake. Non ci sono risposte, Bolt è il primo a capirlo: con una lucidità incredibile rimane in mezzo alla pista a interagire con il pubblico, a cercare le telecamere per languidi sguardi disarmati, a comunicare come, ora è evidente anche ai più scettici, fa in modo assolutamente naturale. Privato della sua gara non strepita, non cerca uno sfogo, sceglie piuttosto di raccontare anche quel momento di incredulità e delusione. Una scena muta e un po' retrò. Si appoggia alla parete del corridoio che lo riporterà dentro lo stadio e ci sbatte contro, piccoli continui colpi con la testa all'indietro. Movimenti al rallentatore, in moviola. L'ultimo suono regalato alla platea è un urlo: «Com'on».

Andiamo, doveva essere il segnale di battaglia dopo l'ennesimo giochetto. Indica i vicini di corsia (tra cui Blake) e fa no con la testa, «non esistono» rivali, poi segnala il suo percorso, dallo start al traguardo, come fanno le hostess per indicare le luci d'emergenza, e annuisce allegramente. Scenografia perfetta e una sola frase prima di iniziare lo show. Giusto all'uscita della semifinale, vinta in scioltezza, gli chiedono: «Buone sensazioni?» e lui «Always, man». Un concentrato di convinzione evaporata in 0,104 secondi, il tempo di reazione in negativo. Il cronometro della sua ansia.

Condiziona la gara anche quando non c'è più. Troppo ingombrante, i 35 mila presenti avvertono l'assenza e si distraggono, guardano i 100 metri senza crederci, concentrati sulla melodrammatica uscita dell'uomo dei record e i suoi rivali si spaventano.

Partenze catastrofiche. Persino il vincitore resta aggrappato ai blocchi e alla fine è l'unico che corre sotto i 10 secondi (9"92), non succedeva dal 2005 che una finale mondiale viaggiasse così lenta. Gli altri tutti ben al di sopra dei personali, scioccati e disorientati dall'uscita del punto di riferimento. Walter Dix, argento americano, deve spremersi perché allo sparo resta fermo e Christophe Lemaitre, solo l'ottavo bianco della storia a entrare nell'elite dei 100 con una finale, dimentica ciò che deve fare e frana al quarto posto confermando la statistica: mai un bianco sul podio. Collins, bronzo a otto anni dal suo oro al Mondiale di Parigi, è quello che reagisce meglio. Il veterano ne ha viste tante e non si scompone, semmai perde il fiato a 80 metri e deve lasciare il passo alle ultime generazioni. Lui era già sulle piste quando la falsa partenza ha dato il primo scossone a una gara che conta. Atlanta 1996, Lindford Christie, campione in carica, esce di gara e di testa. Tutt'oggi è convinto di essere stato truffato. Strattona i giudici, pretende un replay in un crescendo di agitazione che lo riduce uno straccio. Lo devono accompagnare fuori in due e solo una volta girata, di forza, la schiena all'orizzonte del traguardo, svuotato di ogni energia, accetta una sconfitta che è convinto di non meritare. Scenata ancor più pacchiana ai Mondiali del 2003 (quelli in cui ha trionfato Collins). Jon Drummond viene espulso ai quarti e si rifiuta di lasciare i blocchi. Si sdraia dietro la sua corsia, la gara viene posticipata di quasi un'ora e lui deve essere portato fuori a braccia.

È raro che i colpevoli si consegnino, anzi di media strepitano fuori controllo. Bolt evita perché è diverso, la plateale e capricciosa rivolta non è nel suo stile, quell'atteggiamento «cool» a cui lui tiene tanto andava salvato. Era la sola cosa salvabile ormai, solo che neanche Usain ha retto fino in fondo. Deciso a non crollare in pubblico, è dovuto sparire. Solo quell'avvertimento: «Volete le lacrime?», l'accenno a un lamento ricacciato nel profondo e la fuga. È Usain Bolt, l'uomo che studia da leggenda e non accetta cadute di stile, ha consegnato, maglia e titolo, però venerdì si ripresenta al Daegu Stadium per i 200 metri e non può rovinare le aspettative, macchiare il personaggio. È il solo sulla terra capace di correre i 100 in 9"58 e punta ad abbassare l'impossibile, purtroppo è rimasto fulminato dalla sua stessa rapidità. Resta da capire quanto male si è fatto.

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