lunedì 29 agosto 2011

Maddalene Sky Marathon Terza edizione 28 agosto 2011 - Prova unica per il CAMPIONATO REGIONALE SKYRUNNING 2011


L’aquila rosa Brizio Emanuela1^nel Sudtirol,
è la regina delle Maddalene.
Dapit Fulvio si riconferma leader.
Campioni Trentini di skyrunning sono
Annemarie Gross e Fulvio Dapit.
Un’organizzazione sky perfetta in ogni dettaglio.

Madonna di Senale Bz- Rumo Tn 28 agosto 2011

La Maddalene è un’avventura-running di 47km nel Sudtirol Trentino, certo che a pochi km di distanza dalla Maddalene si è consumato il campionato Italiano di vertical Km. del Latemar e l’aver scelto di schierasi sulla linea di partenza di Madonna di Senale Bz per correre questa ultra-marathon, significa amare lo skyrunning senza limitazioni. Le Maddalene è una catena montuosa conservata gelosamente nel suo stato selvaggio, questo spettacolare territorio è privo di ogni inquinamento del turismo sfrenato a tutti i costi. Questa catena della Val di Non si trova nella sezione alpina delle Alpi Retiche meridionali, la Val di Non è la patria del frutto di Eva, qui si producono le famose mele Melinda, questo frutto è un fiore all’occhiello dell’agricoltura Italiana ed è esportato in tutto il mondo.
Come in tutte le ultra-sky i corridori affrontano questa tipologia del running in alta quota con tutto l’apparato muscolo scheletrico in piena efficienza, ma chi conosce bene l’ambiente dello skyrunning sà che per affrontare gli oltre 47 km per un dislivello positivo di 2849 mt. e nagativo di mt. 3200, è necessario soprattutto correre con la testa, e sfidare il proprio egoismo dei freni inibitori sportivi è facoltà di una ristretta nicchia del people del mountain running. L’apoteosi del finisch di un’ultra-sky diventa l’atto finale di un’esclusiva opera d’arte disegnata stavolta nel cielo azzurro lucente di questo fantastico Sudtirol, gli artisti delle marathon di montagna trovano la tavolozza tra le folate di vento che si avvertono sulle punte delle vette, invece i colori, sono acquisiti nell’archivio grafico degli arcobaleni e vengono trasportati sulla tela, direttamente dai raggi solari. Nel percorso della Maddalene si incontrano numerose malghe dove, con amorevole dedizione, i maestri casari dei pastori lavorano il latte trasformandolo in formaggi dai cento sapori montani, per i corridori questi caseifici estivi, sembrano invece tanti distaccamenti di una fabbrica di adrenalina. La partenza da Madonna di Senale in provincia di Bolzano a mt. 1351 s.l.m. è avvenuta alle ore 07.00 con una temperatura direi molto fresca infatti la colonnina di mercurio segnava in positivo 7 gradi centigradi, per i 200 runners è iniziata la prima ascent del giorno con la scalata verso il passo Palade per poi arrivare al culmine della prima asperità del lago di Luco a quota 2180 mt., sul primo trampolino della Maddalene sono transitati al comando un sgranato gruppetto di pretendenti alla corona di alloro, in testa il tandem Dapit e Bonfanti scandivano il passo. Nella sky rosa si alternavano al comando Brizio Emanuela e la Francese Stephanie Jemenez, la prima discesa non produceva nessun effetto sulla competizione maschile mentre al femminile l’aquila Valetudo Emanuela Brizio inizia il suo forcing e passo dopo passo distanzia progressivamente la vincitrice della Maddalene 2010 Jemenez. Sin dalle prime battute le altre atlete in gara non sono mai state in lotta per le prime due posizioni del podio.

La sky maschile si infiamma sull’ultima salita il Gpm monte Pin a mt. 2420, qui un Fulvio Dapit in perfetta forma fisica, affonda il passo sull’acceleratore e pianta in asso il Bergamasco Fabio Bonfanti, nell’interminabile picchiata finale su Rumo Trento, a mt. 1000 s.l.m., Fulvio da affermato discesita, resiste al ritorno di Bonfanti e con un passo di corsa per nulla appesantito dalla lunghezza della sky, si lascia incoronare re delle Maddalene con il bel tempo cronometrico di h. 4 41’12”, bravo 2° il Bergamasco di Fiorano al Serio Fabio Bonfanti in 4 45’06”, Bonfanti quest’anno ha già collezionato 6 piazzamenti sul 2° gradino del podio. Terzo Beatrici Silvano G.S. Fraveggio 4 50’03”, 4° uno dei grandi dei trail Silvano Fedel del Triathlon Trentino 4 56’18”, 5° il Camuno di Temu Menici Matteo in 4 58’12”. Al sesto posto l’aquila Valetudo Berlinghieri 5 04’36”, l’Orobico di Colere, Clemente, quest’anno è in forma smagliante e tutte le domeniche piazza delle ottime prestazioni. Sull’ultima ascent del monte Pin, Emanuela non vede alle sue spalle nessuna minaccia alla sua corona d’alloro e cosi può adottare una condotta di gara non ai limiti delle sue doti atletiche, anche perché nel mese di settembre ci sono ancora tre appuntamenti importantissimi, domenica 4 la Aosta Becca di Nona Chaervensod, penultima prova del circuito Mountain Running International Cup, l’11 c’è la finale dell’Italiano di skyrunning di combinata la skyrace del monte Cavallo a Pincavallo Aviano Pn, in questo campionato Emanuela è in lizza per conquistare di nuovo lo scudetto tricolore e infine il 18 settembre c’è la skymarathon mondiale delle Grigne a Pasturo Lecco dove la Manu è in lizza per un posto sul podio nelle World Series 2011.
Tra due ali di folla festante la leggenda dello skyrunning Mondiale Manu Brizio piomba sulla linea del finisch di Rumo con il tempo finale di h. 5 36’13”, mentre viene incoronata regina delle Maddalene lo speaker esalta la prestazione di Manu con la puntualizzazione che la campionessa di Aurano si piazza 11^ assoluta, proprio una vera regina!. Con il tempo di 5 46’46” 2^ Stephanie Jemenez del team Salomon, 3^ la vincitrice del Tor Des Geants 2010 Gross Annemarie ASV Telmekom Team Sudtirol 6 29’03”, 4^ della Promosport Valli Bresciane Galesi Emanuela 6 31’30”, in 10^ posizione la nostra aquila Valetudo skyrunning rosa Vergura Carmela. Per Carmela la sky delle Maddalene è uno degli ultimi allenamenti per il suo Tor Des Geants 2011 la gara è un’endurance-trail che si corre dall’ 11 al 18 settembre in Valle d’Aosta, misura 330 km per un dislivello positivo di 24000 mt.
Per finire in bellezza questa sky delle Maddalene il comitato organizzatore capitanato dal Presidente Leone Cirolini ha allestito una mega premiazione nel centro sportivo di Rumo, in questo luogo gli atleti con i rispettivi accompagnatori e famigliari sono stati presi per la gola con un pranzo di ottima fattura culinaria.

Giorgio Pese

«Chiudere i passi dolomitici un mese all'anno»


La proposta di Sat e Cai che si scagliano contro eliturismo e downhill
TRENTO. Chiudere i passi dolomitici più trafficati nel periodo più «caldo» dell'estate, tra il 20 luglio ed il 20 agosto. È la proposta emersa dalla riunione dei Club alpini della regione dolomitica che si è svolta ieri sul Pordoi ed alla quale ha partecipato anche Piergiorgio Motter, presidente della Sat, in rappresentanza dei suoi 28.000 soci. Ovviamente Motter si è espresso anche sul motoraduno delle Harley. Ed il suo pensiero è chiarissimo: «Mille moto in quota danno fastidio».

Sarà stato sicuramente un caso che la riunione del Cai sia andata in scena nello stesso giorno del mega raduno delle Harley Davidson sulle Dolomiti. Ma la strana coincidenza ha ridato forza al tema della chiusura dei passi dolomitici, sul quale il presidente dei satini si è espresso così. «Il ticket non porta a nulla. A nostro avviso andrebbe invece studiato un sistema di chiusura dei passi principali nel mese più frequentato dell'estate. Ad esempio, chiudere al traffico Sella, Pordoi, Gardena e Costalunga dalle 10 alle 16 dal 20 luglio al 20 agosto, potenziando ovviamente il servizio di bus navetta che trasporti i turisti in quota in un modo più sostenibile».

Una proposta precisa che in autunno sarà presentata ai politici trentini, dopo un confronto con albergatori e commercianti delle zone interessate. «Anche loro - ha aggiunto Motter - sembrano comunque favorevoli a questa soluzione». Ovviamente, un altro dei temi all'ordine del giorno era quello della Fondazione Dolomiti Unesco, nella bufera dopo le recenti dimissioni del segretario Giovanni Campeol. «Siamo amareggiati - ha detto Motter - per quel che è successo in questi giorni. È comunque di buon auspicio che nell'unità di coordinamento appena nominata ci sia Cesare Lasen, rappresentante del Cai. Certo, fino ad ora la nomina dell'Unesco è stata sfruttata più per fini pubblicitari legati al turismo, mentre a nostro avviso dovrebbe essere utilizzata a tutela del territorio».


In quest'ottica la Sat organizzerà nei prossimi mesi degli incontri nelle scuole trentine per parlare di Dolomiti patrimonio dell'umanità. Nell'incontro di ieri, poi, sono stati affrontati altri temi come quello dell'eliturismo. Una pratica bocciata con durezza. «Basta - hanno tuonato i presidenti dei Club alpini della regione dolomitica - sono troppi gli elicotteri che volano sulle nostre cime. La legge Bombarda va fatta rispettare». E ancora: no al downhill che devasta i sentieri percorsi dagli escursionisti. «Non ne possiamo più», afferma Motter. «Chi pratica questo sport usi le apposite piste». Infine, la Valdastico. Anche su questo punto Motter è categorico. «Personalmente sono contrario a questa realizzazione - ha concluso - perché porterebbe solamente traffico ed intasamenti. Bisogna, invece, potenziare il trasporto su rotaia».

    Pistorius, niente finale


    Oscar Pistorius non si è qualificato per la finale dei 400 metri maschili nella terza giornata dei Mondiali di atletica. Sulla pista di Daegu, il 24enne sudafricano che gareggia con le protesi, campione paralimpico, ha chiuso all'ottavo posto la sua batteria di semifinale con il tempo di 46"19
    Oscar Pistorius of South Africa crosses the finish line in his men's 400 metres heat at the IAAF World Championships in Daegu August 28, 2011 - 0Il sogno è finito. Oscar Pistorius non potrà nemmeno disputare la finale dei 400 metri ai Mondiali d’atletica di Daegu. Il sudafricano la cui storia ha commosso appassionati di sport e non è stato eliminato nelle semifinali. Il suo, un 46’’19, è stato il tempo peggiore della terza batteria di qualificazione. Il modo peggiore per mettere fine a tutte le sue speranze di gloria.
    Ottavo nella propria semifinale, ma non il più lento in senso assoluto. L’unica soddisfazione per il 24enne che gareggia con due protesi alle gambe è questa. Sui 24 in corsa, Pistorius ha fatto registrare il 22esimo tempo. Che sarà anche peggiore di poco più di un secondo rispetto al suo personale di 45’’07 grazie al quale è arrivato a Daegu, ma è anche migliore di altri due crono.
    Il dominicano Erison Hurtault (46’’41) e il giamaicano Riker Hylton (46’’99) sono infatti stati più lenti del sudafricano. La storia di Pistorius a Daegu finisce qui. Ma il sogno continua. L’obiettivo è quello di prepararsi al meglio per l’Olimpiade della prossima estate a Londra.
    Per la cronaca, infine, si qualifica alla finale con il miglior tempo LaShawn Merritt, vincitore della prima batteria con un 44’’76 che è stato soltanto avvicinato dal giamaicano Jermaine Gonzales (44’’96 nella terza semifinale). Gli altri qualificati sono Kevin Borlee (45’’02), Jonathan Borlee (45’’14), Rondell Bartholomew (45’’17), Kirani James (45’’20), Femi Ogunode (45’’41) e Tabarie Henry (45’’53). Tutti troppo veloci per Pistorius

    Bolt, l'uomo più veloce di se stesso




    Usain Bolt si spoglia del titolo di campione del mondo, leva la maglia e abbandona i 100 metri senza correrli: ci si aspettava tutto tranne la resa, invece falsa partenza. Gli altri ai blocchi e Usain schizza via, dritto in un vicolo cieco: «Volete le lacrime? Non succederà».

    No, non ci sono proteste, né scene isteriche davanti alla vittoria del compagno di allenamenti Yohan Blake perché che Bolt abbia sbagliato è chiaro all'intero stadio pietrificato. Che l'uomo da cacciare, e non più da battere, sia lui è l'unica certezza della serata. Il resto è una serie di ipotesi senza prove: non si sa se davvero Bolt avrebbe vinto, se aveva già un'inedita pressione addosso e quindi è andato fuori giri, se l'errore sia stato condizionato da un leggero movimento che qualcuno ha notato alla sua destra, giusto nella corsia di Blake. Non ci sono risposte, Bolt è il primo a capirlo: con una lucidità incredibile rimane in mezzo alla pista a interagire con il pubblico, a cercare le telecamere per languidi sguardi disarmati, a comunicare come, ora è evidente anche ai più scettici, fa in modo assolutamente naturale. Privato della sua gara non strepita, non cerca uno sfogo, sceglie piuttosto di raccontare anche quel momento di incredulità e delusione. Una scena muta e un po' retrò. Si appoggia alla parete del corridoio che lo riporterà dentro lo stadio e ci sbatte contro, piccoli continui colpi con la testa all'indietro. Movimenti al rallentatore, in moviola. L'ultimo suono regalato alla platea è un urlo: «Com'on».

    Andiamo, doveva essere il segnale di battaglia dopo l'ennesimo giochetto. Indica i vicini di corsia (tra cui Blake) e fa no con la testa, «non esistono» rivali, poi segnala il suo percorso, dallo start al traguardo, come fanno le hostess per indicare le luci d'emergenza, e annuisce allegramente. Scenografia perfetta e una sola frase prima di iniziare lo show. Giusto all'uscita della semifinale, vinta in scioltezza, gli chiedono: «Buone sensazioni?» e lui «Always, man». Un concentrato di convinzione evaporata in 0,104 secondi, il tempo di reazione in negativo. Il cronometro della sua ansia.

    Condiziona la gara anche quando non c'è più. Troppo ingombrante, i 35 mila presenti avvertono l'assenza e si distraggono, guardano i 100 metri senza crederci, concentrati sulla melodrammatica uscita dell'uomo dei record e i suoi rivali si spaventano.

    Partenze catastrofiche. Persino il vincitore resta aggrappato ai blocchi e alla fine è l'unico che corre sotto i 10 secondi (9"92), non succedeva dal 2005 che una finale mondiale viaggiasse così lenta. Gli altri tutti ben al di sopra dei personali, scioccati e disorientati dall'uscita del punto di riferimento. Walter Dix, argento americano, deve spremersi perché allo sparo resta fermo e Christophe Lemaitre, solo l'ottavo bianco della storia a entrare nell'elite dei 100 con una finale, dimentica ciò che deve fare e frana al quarto posto confermando la statistica: mai un bianco sul podio. Collins, bronzo a otto anni dal suo oro al Mondiale di Parigi, è quello che reagisce meglio. Il veterano ne ha viste tante e non si scompone, semmai perde il fiato a 80 metri e deve lasciare il passo alle ultime generazioni. Lui era già sulle piste quando la falsa partenza ha dato il primo scossone a una gara che conta. Atlanta 1996, Lindford Christie, campione in carica, esce di gara e di testa. Tutt'oggi è convinto di essere stato truffato. Strattona i giudici, pretende un replay in un crescendo di agitazione che lo riduce uno straccio. Lo devono accompagnare fuori in due e solo una volta girata, di forza, la schiena all'orizzonte del traguardo, svuotato di ogni energia, accetta una sconfitta che è convinto di non meritare. Scenata ancor più pacchiana ai Mondiali del 2003 (quelli in cui ha trionfato Collins). Jon Drummond viene espulso ai quarti e si rifiuta di lasciare i blocchi. Si sdraia dietro la sua corsia, la gara viene posticipata di quasi un'ora e lui deve essere portato fuori a braccia.

    È raro che i colpevoli si consegnino, anzi di media strepitano fuori controllo. Bolt evita perché è diverso, la plateale e capricciosa rivolta non è nel suo stile, quell'atteggiamento «cool» a cui lui tiene tanto andava salvato. Era la sola cosa salvabile ormai, solo che neanche Usain ha retto fino in fondo. Deciso a non crollare in pubblico, è dovuto sparire. Solo quell'avvertimento: «Volete le lacrime?», l'accenno a un lamento ricacciato nel profondo e la fuga. È Usain Bolt, l'uomo che studia da leggenda e non accetta cadute di stile, ha consegnato, maglia e titolo, però venerdì si ripresenta al Daegu Stadium per i 200 metri e non può rovinare le aspettative, macchiare il personaggio. È il solo sulla terra capace di correre i 100 in 9"58 e punta ad abbassare l'impossibile, purtroppo è rimasto fulminato dalla sua stessa rapidità. Resta da capire quanto male si è fatto.

    domenica 28 agosto 2011

    Bin Laden è Morto per Davvero?


    Gli Stati Uniti, per bocca del loro presidente, hanno annunciato l’avvenuta uccisione di Osama Bin Laden per tramite di una loro unità militare in territorio pakistano.
    Senza pregiudizi, cerco di fare qualcheriflessione a caldo basandomi esclusivamente sulla mia esperienza professionale. Le mie informazioni derivano solo da fonti ufficiali (giornali, televisioni, agenzie di stampa, comunicati governativi). Le mie considerazioni:
    1. Non è stata proposta alcuna prova filmata o fotografica della morte dei Bin Laden. E’ stata diffusa una foto del viso, palesemente taroccata ed un video sfocato di una stanza con macchie rosse sui tappeti e sul letto definite come macchie di sangue.
    2. Secondo una prima versione ci sarebbe stato uno scontro armato dove anche delle donne sono state utilizzate come scudi umani. Dal filmato e dalle foto di cui al punto precedente, sembrerebbe invece che ci sia stata un’uccisione a sorpresa in camera da letto. In un’altra versione si è parlato di una vera e propria esecuzione con un colpo alla testa. Quale è la versione ufficiale?
    3. Sembrerebbe che ci sia stata un’incursione armata di militari americani in territorio pakistano. Dal Pakistan non giunge nessun commento. Il Pakistan ha autorizzato l’ingresso di truppe americane? Lo ha osteggiato? Militari pakistani hanno partecipato all’operazione?
    4. Le foto della villa di Bin Laden mostrano militari in divisa in servizio di guardia. Le divise sembrano quelle di militari pakistani. Questo vuol dire che truppe regolari pakistane svolgevano un servizio di guardia a Bin Laden?
    5. Il corpo di Bin Laden è stato sepolto in mare perché “nessun paese voleva accettarlo”. Perché il corpo non è stato portato negli Stati Uniti?
    6. Nessuno, nonostante ci sia stato il tempo e il modo di farlo, ha pensato a procurarsi una prova indiscutibile dell’avvenuta esecuzione del più grande nemico degli Stati Uniti dopo Adolf Hitler.
    Per rispondere alla domanda che da il titolo a questa nota, la mia opinione è che: sì, Bin Laden è morto. Se gli americani non fossero certi di questa cosa, non si sarebbero mai esposti al rischio di essere sputtanati a livello mondiale dalla comparsa di un video dove un Bin Laden vivo e vegeto sfoglia i giornali che parlano della sua morte.
    Bin Laden è stato ucciso da un commando USA? Non lo so, ma se dovessi scommettere punterei sul no.
    La mia opinione è che Bin laden sia morto da tempo per motivi naturali o per cause terze non attribuibili nemmeno indirettamente agli Stati Uniti. Una volta sicuri di questo fatto, gli americani hanno deciso di “appropriarsene” per una serie di motivi. Il più importante è che nel grande film della guerra al terrorismo ed all’Islam, ci vuole la certezza che la legge trionfi sempre e che i cattivi vengono sempre e comunque puniti. Un altro motivo è che in questo modo i gruppi estremisti islamici più periferici e meno visibili ( e per questo non  ancora informati della morte del loro leader) entreranno in agitazione rendendosi più immediatamente identificabili.
    Nel complesso mosaico della grande guerra globale che si sta combattendo, l’operazione di disinformazione americana appare lecita e opportuna. Quello che preoccupa il professionista è l’approssimazione con la quale è stata condotta ed i numerosi aspetti grossolani che la caratterizzano. Evidentemente, il controllo dei mezzi di comunicazione di massa, tutti allineati in riga nel diffondere informazioni senza alcuna prova, consente una manipolazione dell’opinione pubblica che non necessita di meccanismi raffinati o di costruzioni complesse. Basta dire che una cosa è successa e farla ripetere ai giornali, affinché diventi verità, a prescindere da tutto.

    Libia, Kurt il mercenario: "Con Gheddafi contractor senza nessuna qualifica. I loro compiti sono i più brutali”









    “Invano cercherete soldi nel tascapane, li ho spesi proprio tutti insieme alle puttane”, ha cantato negli anni sessanta Pino Caruso, per ricordare i mercenari milanesi che si arruolarono per vendicare l’uccisione dei caschi blu italiani trucidati e divorati dalla soldataglia congolese. Soldati di ventura che, secondo lo scrittore Ippolito Edmondo Ferrario - autore del libro Mercenari. Gli italiani in Congo 1960 (Mursia) – fecero questa scelta estrema per motivi ideologici e non per soldi. Chi sono, invece, i contractor che stanno combattendo al fianco di Muammar Gheddafi? Di sicuro ci sono ciadiani, mauritani, nigeriani, italiani ma anche libici appartenenti alle tribù nomadi del sud: Mastini della guerra sulle cui capacità – ha scritto Gianandrea Gaiani sulle pagine del Sole 24 ore - è però lecito dubitare. C’è, tuttavia, anche chi sostiene che la colonna portante dell’esercito privato del rais sia composta dai Berretti Rossi, il corpo speciale creato dal criminale serbo Slobodan Milosevic.

    “Mi faccia sapere se esce il pezzo quando e dove: è la prima intervista della mia vita. Sto invecchiando. La saluto. k.” La kappa sta per Kurt: lo pseudonimo del mercenario che ha rilasciato un'intervista a Tiscali . Kurt, ebreo, si legge su MenteCritica, raggiunta la maggiore età si arruolò nelle truppe d’elite israeliane per dare il suo contributo per la difesa della Terra Promessa (ferito 4 volte ricevette due promozioni sul campo ed una decorazione al merito). Kurt ha un suo decalogo: “Per me le armi sono veramente l’ultima risorsa, mi piace ragionare e mediare. Ho uno dei tassi tango più bassi del circuito. Se le mie missioni fossero state affidate a uno spetsnaz o a qualche fanatico di Parris Island, probabilmente ci sarebbe un centinaio di persone in meno in giro per il mondo. Preferisco pensare che la mia professionalità abbia salvato la vita di questa gente”.

    Kurt, si dice che fra i contractor che stanno combattendo al fianco di Gheddafi ci siano i Berretti Rossi, il corpo speciale creato dal serbo Slobodan Milosevic. Quanto costa ingaggiarli e che di tipo di soldati sono e dove hanno operato in precedenza?

    Questa informazione non mi risulta: in genere si tende a evitare l'utilizzo di personale la cui storia di reparto fa riferimento a violenze nei confronti di comunità religiose in territori dove questa è maggioritaria o dominante.

    Per ora escluderei questa eventualità, anche se il degenerare della situazione potrebbe rendere possibile questa ipotesi. Per i costi, com’è immaginabile, non esiste un tariffario. Dipende dalla missione e dalle condizioni in cui si svolgerà. Chiaramente, un impiego operativo in Libia in queste condizioni è rischiosissimo e andrà retribuito di conseguenza. Per quanto riguarda la preparazione, va tenuto conto del fatto che il personale disponibile ad accollarsi un rischio del genere non è certamente quello più qualificato”

    Secondo indiscrezioni, i contractor di Gheddafi sono stati ingaggiati in Ciad, Nigeria e Sudan. Con loro ci sarebbero anche arabi, italiani ed ex soldati provenienti dall'Europa Orientale. Quale potrebbe essere il loro compito nello scenario libico?

    “ Si tratta di personale senza nessuna qualifica tecnica e cresciuta in una cultura senza valori. I compiti non possono che essere i più brutali”.

    Sono almeno 4 o 5 gli italiani impegnati in Libia come mercenari tra le fila dei miliziani di Gheddafi ha detto un ex contractor. Secondo lei, che tipo di consulenza sarebbero chiamati a fornire?

    “ Non sono qualificato per rispondere a questa domanda”.

    In generale, come fa il contractor a mettersi in contatto i clienti, qual è la loro cultura?

    “Esistono vari livelli di specializzazione derivanti da provenienze diverse e che anche i sistemi d'ingaggio dipendono dalla qualità del personale. Si va dai contadini reclutati nei villaggi africani per il solo fatto di sapere da quale parte della canna esce il proiettile, ai superspecialisti che si servono di agenti o agenzie internazionali”.

    Da quali reparti provengono?

    “I reparti di provenienza, in genere, sono quelli più operativi: SAS, Spetsnaz, solo per citarne alcuni. Sui clienti e la loro tipologia ci sarebbe da scrivere un libro. Si va dagli uomini di stato fino al signorotto locale, passando per multinazionali e agenzie governative. Ovviamente, ognuno accede alla risorsa in maniera diversa”.

    Il Social Networking



    Che cos’è il Social Networking? Ormai ne sentiamo parlare tutti i giorni o quasi, ma non tutti conoscono il suo significato. Se vi state chiedendo quale sia la definizione esatta di queste parole, sapreste in qualche modo farlo in maniera accurata? E questo capita anche per chi già partecipa ad alcune reti sociali come Facebook o MySpace. La definizione di Social Networking identifica l’attività comune di diversi individui raccolti in gruppi specifici e tematici, ovvero riconoscibili in piccole comunità. Sebbene questo tipo di interazione sia possibile in qualsiasi ambiente sociale come le scuole o l’ambiente lavorativo, le dinamiche più popolari di networking si sviluppano online.

    Questo accade soprattutto perché internet, a differenza degli ambienti sociali tradizionali, raccoglie milioni di individui ed è perciò molto più facile trovarne alcuni interessati ad argomenti specifici e quindi disponibili a sviluppare una rete di amicizie e conoscenza. Per entrare nel mondo del Social Networking è necessario utilizzare alcuni siti. Questi siti sono conosciuti con il nome di Social Network e non sono altro che comunità online di utenti del web. Ognuno di questi siti permette ai membri delle comunità di poter condividere risorse ed informazioni su diversi e svariati argomenti come hobbies, politica, religione, cucina… una volta entrati in un social network potrete cominciare a… socializzare!

    Questa dinamica comincia con la lettura dei “profili” degli altri membri ed includendo la possibilità di entrare in contatto con loro. Fare amicizia su questi siti è solo uno dei benefici a disposizione degli utenti, un altro grande beneficio è invece l’ampia eterogeneità dell’audience. A differenza dell’ambiente di lavoro classico, per fare un esempio, interne permette ad ogni individuo di accedere alle comunità online da ogni parte del mondo. Questo significa che se voi vivete in Italia, potreste comunque sviluppare un’amicizia o un rapporto professionale online con qualcuno che sta in Giappone o negli USA e magari imparare a conoscere meglio anche le altre culture. Come ho già menzionato in precedenza, il Social Networking è caratterizzato dall’attività di gruppi di individui o di organizzazioni su tematiche e argomenti specifici. Alcuni Social Network però non hanno queste caratteristiche e sono aperti a qualsiasi utente del web, cioè, non è importante quale hobby o credo politico, o passione sportiva uno abbia, tutti possiamo diventarne membri.

    Comunque sia, una volta entrati in queste comunità online, potrete cominciare a costruire la vostra rete di conoscenze e amicizie tenendo fuori le persone che non incontrano i vostri stessi gusti o i vostri interessi. Se pensate di essere interessati a fare social networking online sicuramente avrete anche il coraggio di capirne di più anche in merito ai rischi ai quali ci si può esporre su un social network. Questi rischi sono spesso rappresentati da persone che si spacciano per ciò che in realtà non sono ma nell’attività online questi pericoli sono facilissimi da evitare a differenza di quanto invece accade nella realtà quotidiana. Allo stesso modo, come accade quando conoscete nuove persone al bar, a lavoro, anche online si deve procedere con la dovuta cautela.

    Una volta che avrete preso confidenza con lo strumento web sarete molto più abili e sicuri nella gestione dei vostri rapporti sociali online. Una volta che questi concetti di Social Networking vi saranno più chiari non vi resterà che entrare in una comunità online e cercare i gruppi che più vi interesserà seguire. Basterà farlo attraverso una classica ricerca tramite Google ottenendo un gran numero di risultati tra i quali troverete sicuramente Facebook, MySpace, Orkut, Friendster, MeetUp, Tagged (Social Network non specialistici) oppure LinkedIn, Viadeo, Xing (Social Network professionali). Nella sezione finale di questo volume troverete una serie di indirizzi web dei più noti Social Network.

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